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Parma e la cultura alimentare

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Fra le cime aguzze delle Alpi e i verdi declivi degli Appennini, si adagia una vasta pianura solcata dalle acque lente del grande fiume Po: il maggiore d’Italia. Ad Ovest si stendono le coltivazioni irrigue del Piemonte e della Lombardia, terre di risaie e di abbondante foraggio; a Est il delta del Po che si apre a ventaglio prima di sposare le acque del pescoso Mare Adriatico.
Al centro di questo esteso territorio, scandito da filari di alberi e corsi d’acqua e curato come un giardino, si trova una zona in cui la fertilità del suolo, le antichissime tradizioni e l’intraprendenza dell’uomo hanno favorito la nascita e lo sviluppo di prodotti alimentari d’eccellenza.

Nelle province di Parma, e delle confinanti Reggio Emilia e Modena si concentrano oggi le maggiori produzioni di salumi tipici, formaggio Parmigiano Reggiano, pasta e conserve vegetali del Paese. Ma è Parma, per antica tradizione, ad esserne il centro e la “capitale” indiscussa, con la presenza di eccellenze gastronomiche di livello mondiale.
Fin dall’epoca romana i prosciutti stagionati nel Parmense erano ricercati e apprezzati nella capitale dell’impero; in epoca alto-medievale i monaci Benedettini avevano messo a punto il processo di produzione del formaggio Parmigiano Reggiano, ancor oggi in uso. Nell’Ottocento poi, Parma sviluppava la più forte industria alimentare di trasformazione del pomodoro, favorendo così la specializzazione delle imprese meccaniche presenti sul territorio e la posa della più ampia rete territoriale italiana di tramvie a vapore a scartamento ferroviario, capace, con i suoi 177 chilometri di binari, di collegare i principali siti produttivi alla città capoluogo, alla rete ferroviaria nazionale e al porto fluviale sul Po. Nel 1877 iniziava il proprio cammino con un modesto negozio di panetteria la Barilla, oggi leader mondiale nella produzione industriale della pasta ed europeo dei prodotti da forno.
Il XX secolo vedeva la nascita nel capoluogo della Stazione Sperimentale delle Conserve Alimentari, della Mostra delle Conserve, antesignana dell’odierno Cibus – la Fiera internazionale dell’Alimentazione – e dei Consorzi di tutela dei prodotti tipici (Parmigiano, Prosciutto, Culatello).
A sancire questa forte vocazione, nel 2003 Parma veniva prescelta quale sede dell’EFSA, l’Authority Europea per la Sicurezza Alimentare mentre nel 2015 l’UNESCO dichiarava Parma – unica località in Italia – “Città creativa della gastronomia”.

«A Parma non è difficile vivere, a patto di saper dar ragione all’interlocutore in una discussione a carattere musicale o gastronomico».

Maria Luigia d’Asburgo, Duchessa di Parma dal 1816 al 1847.

IL CIBO COME CULTURA

Un tour artistico a Parma.

Una cultura del cibo così radicata e profonda ha lasciato tracce indelebili, non solo nel pianeta del gusto, ma anche nell’arte e nella cultura del territorio.

Il turista curioso che volesse seguire le tracce di questo “fil rouge”alimentare potrebbe iniziare il proprio percorso dalla Cattedrale di Parma, splendido monumento romanico, consacrato nel 1196 e dedicato a Maria Assunta, immortalata dal tratto sublime del Correggio (1489–1534), nella vorticosa, ineguagliabile cupola.
Qui, proprio sul portale principale di accesso, custodito da due imponenti leoni stilofori, si trova la più antica rappresentazione cittadina della lavorazione delle carni suine. Nell’arco dei mesi l’anonimo scultore dell’XI secolo ha raffigurato in novembre la macellazione del maiale.

A pochi metri lo scrigno rosato del Battistero, opera somma di Benedetto Antelami e cesura con il nascente gotico, conserva la testimonianza preziosa di un altro affascinante ciclo dei mesi, dove le attività dell’uomo si specchiano nelle acque lustrali dell’ottagonale vasca del battesimo. Qui il grano e la vite si affiancano alla coltivazione delle rape e – nella formella del Segno dell’Acquario – alla straordinaria preparazione di salami e salsicce nell’interno di una cucina medievale.

Poco discosto, il vasto complesso di San Paolo – antichissimo monastero delle monache Benedettine, già esistente nel 985 d. C. – cela il tesoro prezioso degli appartamenti della badessa Giovanna Piacenza che nel 1519 volle affrescate le volte delle sue stanze dalla mano felice di Antonio Allegri da Correggio: in un criptico percorso iconografico, colti rimandi alla mitologia classica si mischiano ad una pregevole dotazione di vasi e suppellettili da tavola, che trovano la loro più usuale collocazione nella raffigurazione pittorica del refettorio delle Monache.

Poco discosta, oltre il grande prato verde di Piazzale della Pace, si erge la mole imponente del Palazzo della Pilotta, eretto dai duchi Farnese per ospitare i servizi della Corte fra il 1583 ed il 1611. Il grande complesso è il principale centro culturale della città e accoglie il Museo Archeologico Nazionale, la Biblioteca Palatina, il Museo Bodoniano, l’emozionante Teatro Farnese e la Galleria Nazionale, l’Accademia Nazionale di Belle Arti, sale per mostre temporanee e biblioteche d’arte.
Il Museo Archeologico venne istituito nel 1761 dal duca don Filippo di Borbone per conservare ed esporre i reperti che giungevano dagli scavi della cittadina romana di Veleia nell’Appennino piacentino dopo il fortuito ritrovamento, nella località, dell’importantissima Tabula Alimentaria Traiana. La più grande iscrizione in bronzo dell’antichità, venne studiata, tra gli altri, dal grande storico Lodovico Antonio Muratori e contiene l’elenco dei fondi, con relativi proprietari, che avevano beneficiato dei prestiti della cassa imperiale di Traiano i cui interessi venivano utilizzati per l’educazione degli abitanti poveri di Veleja. Di particolare interesse, nelle altre sale del Museo una ricca collezione di suppellettili provenienti dalle terramare del Parmense e legate alla preparazione e cottura dei cibi.

Sempre nel palazzo della Pilotta, la ricchissima Biblioteca Palatina, inaugurata nel 1769, custodisce – oltre a pregevoli manoscritti di gastronomia (una copia de Li quatro banchetti del cuoco di Corte Carlo Nascia, il manoscritto originale di Piciol lume di cucinadettato da Antonio Maria Dalli nel 1701 e scritto dal copista Carlo Giovanelli) e le opere a stampa di Vincenzo Agnoletti, cuoco alla Corte di Maria Luigia – i pregevoli disegni originali per una serie di piatti da tavola progettata nel 1639 per Odoardo Farnese (1612–1640) in vista di un pranzo con i Cardinali Antonio e Francesco Barberini a Roma. Andato a monte il progettato banchetto, rimangono oggi un centinaio di disegni, molti dei quali acquerellati, che ci mostrano il gusto per l’estetica della tavola del XVII secolo.

Nei vasti e suggestivi spazi della Galleria Nazionale, nata dalle collezioni della settecentesca Accademia Parmense di Belle Arti e oggi una delle più importanti d’Italia, è possibile ammirare lo straordinario trionfo da tavola dello scultore spagnolo Damià Campaney (1771–1855), composto da oltre cento pezzi in marmo, bronzo e alabastro, e realizzato a Roma fra il 1804 ed il 1806 e destinato all’Ambasciata di Spagna, giunto fortunosamente a Parma dopo una sosta a Lucca: un tripudio di eleganza che fa ben comprendere quanto contasse la tavola ed il banchetto nella politica delle Case regnanti d’Europa dei secoli passati.

Ancora pochi passi e le forme leonardesche della chiesa Magistrale di Santa Maria della Steccata danno corpo alle fantasie iconografiche di un altro grande protagonista del rinascimento italiano: Francesco Mazzola, il Parmigianino (1503–1540). Sull’arcone che sovrasta l’altar maggiore e la trecentesca maestà con la Vergine che allatta, fra la teoria delle vergini sagge e delle vergini stolte dipinte fra il 1533 ed il ’39, si dipana uno straordinario campionario di alimenti. Dai granchi alle colombe, ai gamberi, ai capri, alle cappe sante, fino alla frutta; tutti dal forte significato simbolico e dal celato linguaggio alchemico: al di sopra dell’altare – luogo ove si consacra il cibo per l’anima – l’artista ha fissato nei secoli un vasto campionario di alimenti d’acqua e di terra.

All’ombra della cupola della Steccata si stende la Piazza Garibaldi – un tempo sede del mercato degli alimentari, trasferitosi ormai da diversi secoli nella non lontana Piazza della Ghiaia – ove ha sede la locale Cassa di Risparmio (oggi Cariparma – Crédit Agricole). Al suo interno due luoghi di grande fascino riportano il tema del cibo nel mondo dell’arte del XX secolo.
La sala del Consiglio della Cassa di Risparmio progettata integralmente – dai decori parietali agli arredi, all’illuminazione – dal pittore parmigiano Amedeo Bocchi (1883–1976), fra il 1915 ed il 1917, riverbera di richiami klimtiani e di rimandi alla Secessione Viennese.
Una delle pareti, dedicate ai temi del risparmio, illustra simbolicamente il lavoro della terra parmense e l’abbondanza fra messi di grano dorate e favi stillanti miele.

Poco oltre, in quella che un tempo era la Sala del Consiglio della Camera di Commercio ed è ora parte integrante della sede centrale dell’Istituto Bancario, si apre la sala dipinta tra il 1924 ed il 1925 da Daniele de Strobel (1873–1942), con grandi pannelli murali ad olio. Qui le pareti raccontano la lavorazione del latte, con le mandrie bovine, le donne che trasportano il bianco nettare e, al fondo, un caratteristico “casello” per la produzione del formaggio Parmigiano; a fronte, la raccolta del pomodoro e una fabbrica per la trasformazione dell’oro rosso in concentrato e conserva.